Gambellara, la garganega che verrà e i Cavazza

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Quando penso a Gambellara, mi viene in mente la Bella Addormentata, quella della favola. Bella, perché i vini che ci si producono e che ci si possono produrre sono certamente capaci d’esprimere una personalità di quelle che sorprendono, e anche un bel po’. Epperò addormentata, perché sinora questa piccola denominazione vicentina non ha ancora saputo salire alla ribalta, e anzi da quelle parti si è andati sempre più in ordine sparso, fra presenze industriali e soggetti cooperativi che guardano in una direzione e realtà famigliari che, pur non tantissime in termini quantitativi, inseguono strade disparate, sino alla sperimentazione estrema al di fuori delle previsioni del disciplinare.
Eppure, dicevo, il potenziale è favoloso, con quelle rocce basaltiche che affiorano in colonne e quelle rupi sulle quali s’abbarbica la vite, e la vigna è quella della garganega, ché qui siamo proprio al confine col territorio del Soave, col quale si condivide vitigno e anima bianchista, pur con prerogative che si fanno tangibilmente differenti.
Ecco, se mi chiedete d’indicare il nome di una cantina che sappia essere di conciliazione o di perno nel caleidoscopio di Gambellara, farei il nome dei Cavazza. Famiglia che ha vigneti e produce vino da quelle parti da poco meno d’un centinaio d’anni. Da quando, nel 1928, Giovanni Cavazza, varcò i monti che fan da confine tra Verona e Vicenza, venendo da Montecchia di Crosara. Aveva cinquant’anni e si occupava già di uva coi fratelli. Però allora non si viveva solo di vino. Si commerciava anche in frutta, ortaggi, tabacco, e la vigna era maritata alle piante e alternata alle granaglie e all’erba medica per le vacche. È negli anni Cinquanta che ci si specializza. Via la stalla, via il fienile, si investe sulla cantina e sul vigneto.
Ma questa è storia. Dicevo, invece, del potenziale del Gambellara. Ecco, quello lo descrivo in due vini dei Cavazza che ho assaggiato.
Gambellara Classico Creari 2008 Cavazza
Già, 2008. Giusto per far le cose difficili. La vigna qui è su suolo calcareo. Un’enclave calcarea in un territorio d’origine vulcanica. Siete mica tra quelli permalosi se descrivendo un vino si parla di mineralità, vero? No, perché questo è un bianco che mi tocca (volentieri) definire proprio così, minerale. Poi, le tracce evidenti della garganega quand’evolve sulle bucce e prende quel profumo di mela e di mandorla e di fiori macerati e di spezia, e nel calice infine  gradualmente si sposta verso i fiori e le erbe di campo e il fieno.
(88/100)
Gambellara Classico Bocara 2015 Cavazza
Quello della Bocara è il vigneto storico dei Cavazza, il primo che venne acquistato. Ecco, per me il vino che se ne trae rappresenta per davvero l’idea di classicità del Gambellara. La croccantezza del frutto, la salinità del sorso, la finezza di quel persistere della traccia floreale, la snellezza della beva e tuttavia, insieme, anche un’idea di struttura che fa pensare a un bel potenziale di durata. Totalmente immune e libero, vivaddio, dalla seduzione di quella deriva aromatica che affligge purtroppo tanti produttori di vin bianco. Bravi.
(89/100)

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