Esplorando il potenziale della corvina

corvina_calabionda_240

Credo che, nonostante tutto, la corvina veronese sia un vitigno ancora da scoprire. Dico “nonostante tutto” perché con la corvina in terra di Verona ci si fanno l’Amarone, il Recioto, il Ripasso, il Valpolicella, il Bardolino, il Chiaretto. Insomma, è un vitigno che sa adattarsi a stili totalmente diversi e sa dare vini assai differenti l’uno dall’altro. Eppure le sue potenzialità sono, a mio avviso, ancora in ampia parte inesplorate. Perché tutte le tipologie che ho citato prevedono, per antichi retaggi, che la corvina venga fusa, pur talvolta in minima quantità, con altri vitigni, quali la rondinella o il corvinone. Dunque abbiamo poche prove dei vini che se ne traggono in purezza. Ma tra le poche prove che abbiamo ce ne sono di eccellenti. Assolutamente eccellenti.
Una corvina in purezza da capogiro l’ho tastata di recente da Cà La Bionda, la cantina della famiglia Castellani, a Valgatara, frazione di Marano di Valpolicella. Un vino del 2005. Un igt, perché, appunto, è monovitigno, e dunque fuori delle denominazioni d’origine valpolicellesi, che obbligano invece al blend. Un rosso di aristocratica bellezza.
Mi racconta Alessandro Castellani che quell’anno decisero di selezionare dei grappoli dalle vigne più vecchie di corvina, che stanno un po’ mescolate ai ceppi più giovani nel vigneto. Man mano che raccoglievano, mettevano in cassetta. Poi, quando hanno finito la cernita, hanno pigiato, così c’erano grappoli freschissimi ed altri che invece si erano un po’ asciugati per qualche giorno, in una sorta di brevissimo appassimento. La fermentazione è avvenuta in tino aperto. “Secondo me – mi fa Alessandro – se hai una grande uve questo, il tino aperto, è il sistema migliore per sentire il terroir”. Poi il tino è stato chiuso con un coperchio in acciaio e il vino ha continuato ad affinarsi lì per quattro anni. Non filtrato, è finito infine in quattromila bottiglie appena.
Il vino ha colore chiaro, com’è tipico dei rossi della Val di Marano. La complessità è notevole, e così pure avvince l’evoluzione dentro al calice. Annoto in sequenza: caffè in polvere, foglia di tabacco, rosa essiccata, terra nera, sottobosco, vene piccanti, zenzero, sale, fumo, scorza d’arancia, e poi dattero, liquirizia, spezie, tante spezie, curcuma, chiodo di garofano, cannella, potpourri. Potrei continuare.
Soprattutto, il vino è austero, assolutamente territoriale, di grande beva.
“La vigna prima di dare una cosa del genere – sostiene Alessandro – ha bisogno di trent’anni minimo”. Gli credo. E bevo, ammirato, questo rosso che racconta la terra di Valpolicella. Ed è uno dei migliori rossi che io abbia sin qui bevuto da quelle parti, credetemi.
Veronese Corvina 2005 Cà La Bionda
Tre lieti faccini 🙂 🙂 🙂