Enrico Togni, vedi alla voce Valcamonica

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Credo di essere stato il primo a scrivere di Enrico Togni. Era il 2006, assaggiavo i vini bresciani per la guida del Gambero Rosso. Dai punteggi che avevo segnato mi accorsi che si metteva in luce un’aziendina di cui non avevo mai sentito parlare, Togni Rebaioli. Non era nemmeno previsto che i suoi vini, fatti in Valcamonica, fossero in degustazione. Era stato Sante Bonomo, anima dell’allora Garda Classico, a infilarceli in mezzo, senza dirmelo, perché ci credeva alla neonata igt camuna e aveva voluto farmela conoscere. Telefonai in cantina, mi rispose Enrico, giovanissimo. Capii che c’era sostanza, cCosì chiamai in redazione e mi feci autorizzare l’ingresso in guida. Scrissi che quell’igt aveva già un alfiere e che faceva “rossi di carattere, destinati a crescere ulteriormente in eleganza con l’età”. Sono contento di averci visto giusto. Peccato solo che i vini non siano più dentro all’igt ed escano ora come “vino rosso”, ma questa è un’altra storia.

Sono stato a trovare Enrico Togni qualche giorno fa. Mi è sembrato un’anima in pena come lo sono tutti gli innamorati, e l’amore è quello per la terra di Valcamonica e per le sue prospettive vinicole. Ve lo ricordate Catullo? “Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; non so, ma è proprio così e mi tormento” (la traduzione dal latino è di Salvatore Quasimodo).

Lasciare la terra integra per chi verrà, per esempio a Martina, la sua bimba, questo è l’obiettivo, questa la tensione, e me l’ha detto più volte nel conversare che abbiamo fatto. Mi piace la gente che ci mette passione civile nelle cose che fa. Solo che non è mica facile.

Non è facile neanche fare vino avendo un pezzetto di cantina di qui e uno di là, in due case una vicina all’altra, ma separate. Oppure andare in quelle vigne ripide, tre ettari divisi tra sei appezzamenti, passando per stradine strettissime, mulattiere. O tornare a fare l’agricoltura di una volta, alternando vigna a seminativo e frutteto (una parte di vigneto è stata estirpata per metterci le piante da frutto) e avere anche le api e le pecore e propagare la vite prendendo le marze dai ceppi più vecchi. Però così la biodiversità è salva e fare biodinamica non è per moda, ma per convinzione. Ovvio che in quelle condizioni si fa tutto a mano. Che poi queste difficoltà sono anche il motivo che da quelle parti ha salvato la terra, tagliata fuori della viticoltura industriale che si propagò ovunque, ma non qui, fra gli anni Settanta e Ottanta. Non tutto il male viene per nuocere, a volte è una fortuna.

Adesso i vini che ho assaggiato. In buona parte anche bevuto, più che assaggiato, perché sono vini che si bevono, come devono essere i vini che hanno autenticità. Alcuni da vasca (cemento, legno, acciaio, dipende dal vino) e vediamo se su questi ci prendo di nuovo, dodici anni dopo.

Rebaioli Cavalier Enrico 2016 da vasca. Lo so che il merlot non è il vitigno del cuore di Enrico, ma questo non sa di merlot, sa di montagna, rustico ed elegante insieme. (93/100)

Millesettecentrotre 2017 da vasca. Nebbiolo. Goloso nel frutto, con quelle vene agrumate che chiamano il sorso, e anche ruvidamente fascinoso nel tannino. (90/100)

San Valentino 2017 da vasca. Una volta l’uva la chiamava erbanno, ora non può più e parla di biotipo locale del lambrusco maestri. Frutto rotondo e croccante. (87/100)

Martina Rosato 2017 da vasca. Sempre il biotipo camuno del lambrusco. Asciutto, agrumi e una fragola che mi ricorda quella del groppello, forse non a caso. (87/100)

Attaccabrighe 2015. Una barbera in bianco, spumantizzata. Per chi vuole una bolla “seria”, da cibo. Esce fra poco, vi conviene prenotarvela, non ce n’è molta. (87/100)

Attaccabrighe 2014. Acidissima e tesissima come vuole l’annata, e si sente. Insomma, una bolla affilata e tagliente e però luminosa, cristallina. (91/100)

Martì Contrare 2016. Metodo classico rosato dal biotipo del lambrusco maestri. Ci ritrovo, nette, le fragole groppelliste. Agrumato e asciutto. (84/100)

Martina Rosato 2017. Il primo imbottigliamento. Erbe di prato, fiori, fruttino. Secco e sottilmente tannico, che è una buona cosa per un rosato. (86/100)

San Valentino 2015. Un rosso floreale. Ha beva assai, però ha anche un che di morbidezza datagli da un affinamento in legno di ciliegio. Esperimento chiuso. (84/100)

Millesettecentrotre 2016. Eccolo qui, un vero rosso di montagna, terroso e fitto nella trama tannica. Un nebbiolo che parla nel dialetto della Valcamonica. (90/100)

Rebaioli Cavalier Enrico 2014. D’accordo, sotto sotto il frutto è quello, ma insisto, questo merlot ha una grinta che non lo fa sembrare un merlot. Caratteriale, nervoso. (88/100)

Colpo della Strega 2012. Non è ancora in commercio, una manciata di bottiglie. Nebbiolo rugginoso, ematico, tannico. Tè, tartufo, fiori secchi. Quel pelo di volatile lo farà vivere a lungo. (95/100)

Opol 2009. Un progetto ora accantonato. Uve conferite di contadini che hanno vecchi vigneti a tendone sostenuto dall’acero minore, opol in dialetto. Complesso e strabevibile. (90/100)

Ci sarebbe anche un altro vino, senza nome, su cui Enrico sta riflettendo. Una base spumante di barbera in bianco che poi non è stata spumantizzata. Mi piace, e anche parecchio, ma probabilmente questo bianco se lo berranno lui e la sua gentilissima compagna, in casa. Ve lo dico, nel caso ci ripensasse. Io mi auguro che ci ripensi e che lo imbottigli. Lo riberrei infatti molto volentieri. Per me vale intorno agli 88/100, forse anche di più.