E poi ci sono i vini gastronomici

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Se domandate a un degustatore esperto quante e quali siano le modalità di assaggio dei vini, vi dirà che sono due, e cioè alla cieca (senza conoscere di che vini si tratti, dunque) e a etichetta scoperta. Io sono d’accordo che sono due, ma non concordo che siano queste due. Per me i due modi di tastare il vino sono senza cibo e con il cibo, e fa molta differenza.
Fa molta differenza, sì, molta. Nella mia esperienza ho trovato vini che erano strepitosi degustati in comparazione con altri, ma senza accompagnamento del cibo, e poi invece si sono mostrati poco adatti a stare sulla tavola. Ne ho invece incrociati altri che nell’assaggio non facevano faville, ma poi insieme col cibo si esaltavano. Ecco, questi secondi sono i vini che si possono definire gastronomici. Quelli che sono nati per il cibo e vogliono il cibo. Non sarà mica una colpa produrre vini che stanno bene in tavola, vero?
A questa faccenda ci credo ormai da anni, da quando ho cominciato ad assaggiare abbastanza regolarmente parecchi vini con le due modalità, ossia prima senza cibo e poi con il cibo. Mi è tornata in mente con un vino bianco che ho ricevuto in assaggio da una brava enologa (e blogger saltuaria e attivista dei social network in servizio permanente effettivo), Claudia Donegaglia, che opera presso le Cantine Intesa, una cooperativa che ha sede a Faenza e cantina a Modigliana. Il vino in questione è un’Albana di Romagna in versione secca, vendemmia del 2014, linea I Poderi delle Rose.
Ebbene, provato da solo, questo bianco romagnolo confesso che non m’ha destato grandissima impressione. Ben fatto, certo, e pulitissimo, e varietale, ma non riuscivo a cogliere quel guizzo, quel volo che in degustazione cerco in un bianco. Però c’era qualcosa che non mi convimceva nel mio stesso parere. Ché riprovato dopo un altro paio di sorsi d’altri bianchi di spessore, ‘sta Albana tornava ad uscirsene fuori. Insomma, c’era carattere, anche se pareva celato. Allora ho fatto la prova delle prove: piatto di spaghetti col pomodoro. Prova superata, eccome. Anzi, quel guizzo che sembrava mancargli prima, col vino da solo, qui lo trovavo, e si miglioravano, insieme, sia il piatto che il bicchiere.
Ora, lo so, non è un bianco di quelli che cercano l’applauso a scen’aperta, ma sa il fatto suo e fa il mestiere suo, che è quello di stare in tavola, di stare col cibo, di essere gastronomico, appunto. Magari non è che siano questi i vini che abbiamo smarrito? Magari non è che ci siamo smarriti noi, togliendo il vino dal suo connaturale contesto, che è quello del desco?


4 comments

  1. claudia

    Grazie.
    Mai come questa definizione fu centrata per un vino. La bottiglia che si deve terminare in due , ecco la mia definizione di vino gastronomico . Un vino che deve accompagnare il cibo.
    PS : sempre sia lodato il gastronomico e chi lo ha inventato, ma anche ‘VININO’ non era male

  2. Roberto Giuliani

    caro Angelo, mi trovi assolutamente d’accordo!!! Anche io da tempo immemore cerco sempre di spiegare che il vino ha bisogno della prova cibo, è nato per quello, non per fare l’idolo delle aste. E quanti altarini sarebbero crollati, soprattutto negli anni ’90, se avessero fatto questo tipo di verifica…

  3. #angeloperetti

    #angeloperetti

    @Roberto. Parole sagge!

  4. #angeloperetti

    #angeloperetti

    @Claudia. Be’, la definizione direi che è più tua che mia. E per quanto riguarda il “vinino”, in un certo senso quella è una definizione che, nel nostro piccolo ambiente, ha fatto epoca, ma ora forse è il momento di andare oltre.

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