Due considerazioni sul Soave che invecchia

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Dalla recente degustazione di vini di diverse annate avvenuta in apertura di Soave Preview, rassegna organizzata dal consorzio di tutela soavese, ho tratto essenzialmente due considerazioni.
La prima è che lo stile imitativo di modelli internazionali, in voga dagli anni Novanta a tutto il primo decennio del nuovo millennio, con qualche anacronistico e pertanto incomprensibile strascico anche attuale, non ha retto e non regge. Intendo l’uso del legno, le maturazioni spinte, le estrazioni forzate, le rese eccessivamente basse. In questa maniera, alla lunga, se non fosse per certi tratti minerali, il carattere del Soave si perde e le tracce ossidative appesantiscono il sorso. Insomma, si smarrisce la tensione, si annulla la vena sapida. Tant’è che il vino di annate relativamente vecchie che più ha impressionato è stato invece un “base”, un Soave del 2006 di Suavia nato per essere il “piccolo” di famiglia, e che invece con la sua semplicità ha saputo tenere il decennio quasi con nonchalance. Ha conservato un’impeccabile colorazione brillante e una bella freschezza del frutto. Insomma, è garganega, e la riconosci d’immediato.
La seconda considerazione riguarda la tappatura, che è un mio costante cruccio. Penso che non sia per niente casuale il fatto che il vino che più di tutti mi ha coinvolto, staccandosi di netto dagli altri nell’assaggio, fosse chiuso con la capsula a vite. Si trattava del Soave Danieli 2010 di Fattori, ma in una versione sperimentale, e proprio per questo chiusa con lo screwcap, anziché col tappo raso. Ebbene, il vino è giovanissimo, quasi imberbe ancora, ed ha frutto giallo croccantissimo, nitido, e una sapidità avvincente e un allungo considerevole e una beva nervosa che ne fanno un fuoriclasse, dal potenziale d’invecchiamento notevole. Solo che Giovanni Ponchia – che guidava il tasting insieme a Kerin O’Keefe – questo fatto del tappo a vite l’ha detto ad assaggio effettuato, e dunque non c’è stata alcuna interferenza nella mia valutazione. Dunque, mi domando perché i produttori soavesi siano così refrattari nell’adottare la chiusura a vite. Chi lo fa è una mosca bianca, e a volte – come in questo caso – si tratta solo d’esperimenti. Ma se i risultati son questi, occorrerebbe un po’ di coraggio in più.
Soave Classico 2006 Suavia
(85/100)
Soave Danieli 2010 Fattori
(93/100)

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