Devo scrivere anche del vino che non mi piace?

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A volte me lo domando se devo scrivere anche di quei vini – e sono parecchi – che non mi piacciono. Su quest’InternetGourmet pubblico solo recensioni di vini che ho trovato di mio gradimento, o comunque quanto meno affidabili. Idem per quel che riguarda le recensioni dei collaboratori. Ma di tutti quegli altri che finiscono nel lavandino, dovremmo dirne oppure no?
Sinora ho deciso che no, non se ne scrive, a motivo soprattutto della mia propensione a coltivare il dubbio. Il dubbio in parola è che quel dato vino che non piace a me, magari piace invece ad altri. Dunque, preferisco scrivere solo dei vini che mi piacciono, confidando che chi mi legge assecondi un gusto simile al mio, e dunque sia interessato a ripetere la mia esperienza di assaggio.
Ammetto che a volte la tentazione della stroncatura mi viene.
Ad esempio, qualche giorno fa, stappando un rosso del sud della Francia, non ho potuto esimermi dall’esclamare: “Sa di merda!” Nemmeno facendogli prendere aria per ore e per un giorno e addirittura per due, la puzza non se n’è andata. Ma penso pure che di quel vino sono state prodotte alcune migliaia di bottiglie, e non credo che tutte siano state versate nello scarico, e dunque ho davvero ragione io?
Oppure, ho trovato del tutto insulso e greve e per me totalmente imbevibile un certo rosso toscano, tutto legno e tannino, ma un conoscente cui l’ho proposto in assaggio ne ha speso invece parole di elogio. Chi dei due è nel giusto?
Terzo caso, uno Champagne. Per me troppo morbido, e non equilibrato da adeguata freschezza, e dunque a mio avviso stucchevole. Eppure mi era stato consigliato da una persona che reputo conoscitore di bollicine francesi. Anche qui, ho visto correttamente – e l’altro ha preso un abbaglio – oppure è una mia incapacità di comprensione?
Nel dubbio, preferisco tacere.
C’è tuttavia un altro motivo per il mio silenzio. Quando un vino non mi piace, sono disposto a concedergli il beneficio del dubbio, ma non a farmelo piacere ad ogni costo. Per cui, a un vino che non ho gradito non voglio regalare alcuna opportunità. Alla fin fine, spesse volte di un testo si ricorda appena il soggetto, ma non il contenuto. “L’importante è che se ne parli”, dicono da qualche secolo le regole della promozione. Ecco, tacerne è già una modesta, parziale, minima, personale condanna all’oblio.


5 comments

  1. Vinocondiviso

    Devo dire che questa posizione – per nulla originale, direi anzi che è una ossequiosa consuetudine nell’enomondo – non mi trova per nulla d’accordo.

    Andiamo per punti:
    1) se non piace a me può piacere ad altri
    E quindi? Questo è sempre vero per qualsiasi opinione/critica: vale per il cinema, la letteratura, non si capisce perché non dovrebbe valere per il vino. Ogni critica, se ben argomentata e non ammantata da assolutismo (“secondo il mio modo di vedere….”) non fa male a nessuno. Anzi!

    2) per chi si scrive?
    Per i produttori, i critici o per i lettori/consumatori? Se, come ogni giornalista/comunicatore dovrebbe fare, si scrive principalmente per i lettori ecco che risulta naturale raccontare anche (e soprattutto!) dei vini che non sono piaciuti argomentandone sempre il perché. In questo modo la mia opinione sarà sempre falsificabile e verificabile. Faticoso vero? 🙂

    3) cosa ne pensano i produttori
    I produttori saranno i primi ad essere contenti delle critiche ben argomentate e, forse, potranno trarne profitto o comunque scoprire qualcosa di nuovo sul loro vino. Io non amo essere circondato da yes men, e voi?

    4) insicurezza?
    Se me lo ha consigliato tizio non può essere così cattivo. Sarà colpa della bottiglia, sarà colpa del trasporto, etc…Quanta paura dietro questi alibi da “degustatore euristico”! Un po’ di sicurezza in se stessi suvvia! In fondo è solo vino.

  2. VinidiSicilia

    Perfettamente d’accordo…per chi è abituato a parlare (o scrivere) di vino, non parlarne credo sia sufficiente per esprimere già un opinione, un giudizio, soprattutto per chi ha voluto farcelo assaggiare, che sia un estimatore o il produttore stesso.
    Rispettando comunque il lavoro che c’è dietro…

  3. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Opinioni rispettabili, ma che non condivido né nei contenuti, né nella forma (personalmente non pretendo di impartire lezioni a nessuno, e dunque nessuno pretenda di impartirle a me). La battuta sul “faticoso”, poi, faccio finta di non averla letta: mi pare parecchio fuori luogo e un tantino offensiva. Ah, un’ultima cosa: io mi firmo con nome e cognome e pubblico tutti i miei contatti, vedo che lei non fa altrettanto, neppure sul suo blog, ma esprimere opinioni porta con sé anche la “fatica” di metterci la faccia, mi creda.

  4. Vinocondiviso

    Non mi sembra di essere stato scortese, anzi ho scritto un commento argomentato e vi ho dedicato anche qualche minuto, penso sia un segno di stima, non crede?

    Non capisco proprio dove sarebbe la mia pretesa di “impartire lezioni”.
    Peraltro non mi firmo con nome e cognome proprio per un atto di umiltà…proprio perché non sono un nome del mondo del vino e quindi sapere se mi chiamo Giovanni o Maria nulla aggiunge.
    E non ho filtri nel mio blog per pre-approvare i commenti.

    Senza alcun rancore, la diversità di opinione è un bene prezioso (a mio modesto avviso).

  5. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Concordo con lei, e la cito: la diversità di opinione è un bene prezioso. Proprio per questo è necessario che le opinioni vengano firmate, perché è la persona che conta e che va rispettata. L’atto di umiltà è proprio quello di firmarsi, esponendosi in pubblico, non il contrario. Si firmi e le sue opinioni varranno, a prescindere dal numero dei lettori. Se non si firma è come se non esistessero: non le sembra un peccato, uno spreco di energia e di impegno?

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