Côte de Nuits 2006, la degustazione dei 10 anni

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La degustazione si è svolta nel più bel club di vino di Parigi, Grains Nobles, ed è stata condotta da Bernard Burtschy, oggi collaboratore di Figaro e già con la Revue du Vin de France. L’idea era quella di fare il punto su un’annata dei Côte de Nuits, il 2006, a dieci anni dalla sua nascita, per valutarne punti deboli e potenzialità.

Il millesimo si potrebbe definire “singolare”. La primavera è stata calda, mentre al contrario l’estate non è stata esattamente buona. Il periodo vendemmiale fortunatamente ha visto un ritorno del bello e ha permesso di raccogliere uve piuttosto sane. La concentrazione del frutto è stata eccellente, ma un problema arriva dalla qualità dei tannini. Infatti la difficile partenza primaverile ha causato una certa rigidità tannica che non si è mai risolta. Stesso problema che si è avuto a Bordeaux. I vini giovani sono stati fin qui difficili da bere, proprio a causa di questa loro austerità tannica, tale da bloccare l’espressione del frutto.

La situazione odierna è piuttosto diversa da quella che c’era solo dieci anni fa. Le esigenze economiche fanno sì che in vigna non si voglia più correre alcun rischio. Le vendemmie sono precoci per non rischiare il maltempo, e in caso di grandi maturazioni, si lavora alla grande in cantina. Nel senso che si corregge senza pietà. Un esempio: l’annata 2015, nella quale moltissimi hanno abbondato con l’aggiunta di acido tartarico (e i risultati si sentono, eccome).

I vini esaminati vengono dalla Côte de Nuits, quindi il cuore battente del pinot nero in Borgogna. Il suolo deriva da una base granitica a strati, alla quale si sovrappone il calcare nato dall’abbassamento del livello e dal conseguente arrivo del mare. Il suolo nelle epoche seguenti si è alzato e piegato, provocando avvallamenti con caratteristiche molto diverse e quindi dando vita a quella complessità che rende così affascinante e famosa la Borgogna del vino. I vini più vicini a Nuits-Saint-Georges sono diversi da quelli di Vosne, che potremmo definire per semplificazione, più eleganti.

Si è iniziato con un paio di bianchi, per poi passare a soli rossi.

Bruno Clair, Morey Saint Denis Blanc En La Rue de Vergy. Naso di nocciola, mango e marroni. Al palato è invece nervoso, rigoroso, piuttosto austero, ma senza una grande lunghezza. (86/100)

Dominique Laurent, Beaune Blanc 1er Cru Les Reversées. Chiuso il naso, diviso tra miele e burro. Un vino quasi all’opposto, più caldo e maturo, grasso e con un finale quasi dolce. Finale caldo e morbido, con frutta secca e cannella in evidenza. Piacione. (84/100)

Dominique Laurent, Bourgogne Rouge Cuvée Première. Vino generico le cui vigne sono situate in eccellente posizione, all’altro lato del Clos Vougeot. Il colore annuncia una piccola evoluzione. Ancora un pizzico di legno al naso, fiori (rosa). Attacco vivo, a metà palato si irrigidisce (effetto millesimo) e poi torna gradevole nel finale. Leggermente slegato. Vino non privo di charme e che richiama il cibo. Un generico eccellente. (83/100)

David Duband, Nuits Saint-Georges Les Procès. Vigne nella parte più a sud della aoc, a metà costa, danno vini piuttosto tannici. Colore giovane ma trasparente, molto bello. Profumato, mirtilli, frutta scura, pino, fiori. Etereo e speziato, più fine del precedente. Lungo, equilibrato, tannino che in finale si fa sentire. (88/100)

Georges Chicotot, Nuits Saint-Georges Les Plantes au Baron. Suolo più argilloso e vigne poste più in basso. Un colore più denso con segni di evoluzione. Risalta la parte terrena del pinot: terra umida, tartufo, resina. Poi fiori freschi e odori più animali. Attacco tannico e piuttosto duro, leggera parte vegetale a metà palato. Nel finale il tannino blocca il vino e esce il lato alcolico. Manca un pochino di finezza. (84/100)

Dominique Laurent, Nuits Saint-Georges 1er Cru Les Saint-Georges. Il Saint-Georges per motivi che non vi sto a dire non è entrato nella classificazione come Grand Cru, ma lo è nella realtà dei vini (e per il prezzo). Anche qui c’è un inizio di evoluzione. Inizia quasi ossidato e stanco, ma si risveglia nel bicchiere. Il palato è molto completo, ricco, largo, con un finale alcolico che sente il legno. Il tannino ha una setosità che trascende il millesimo. Note di cuoio e zenzero (tipiche del cru). La parte meno buona è quella del legno, che non riesce a sparire nemmeno dopo vari minuti. Vendemmia parzialmente diraspata. (87/100)

Bruno Clair, Vosne-Romanée Champs Perdrix. Un vino a cui serve tempo. Fine come il suo colore, inizia molto chiuso e timido. Si apre via via su note di violetta e spezie. Attacco piuttosto neutro, quasi vegetale. Nonostante le contraddizioni è un vino con una sua coerenza (scusatemi il garbuglio). Vino pronto, da bere ora con l’accortezza di caraffare o aprire prima la bottiglia. Non un peso massimo. (89/100)

Domaine des Perdrix, Vosne-Romanée. Una cantina che ha base a Nuits. Questo e l’Echezeaux sono gli unici vini di Vosne. Colore molto scuro, è molto aperto e profumato, probabilmente è stato lavorato con uno scupoloso controllo delle temperature, da cui la sensazione di vino tecnico e non perfettamente epressivo. Attacco un po’ duro, chiude tannico e rigido. Si è voluto andare fino in fondo con l’estrazione, e il risultato è un vino che sembra più Nuits che Vosne. Massiccio, ma anche prevedibile. (86/100)

Lignier-Michelot, Morey Saint-Denis En La Rue de Vergy. Suolo di argille profonde. Naso molto interessante, speziato e con fiori secchi. Molto bella la parte floreale. Al palato non mancano tannini e materia, ben assemblati però. Ricco, potente e fine al tempo stesso. Un vino sereno e godibile. (90/100)

J.C. Boisset, Morey Saint-Denis 1er Cru Les Monts Luisants. L’ottanta per cento delle uve non sono state diraspate, domaine in biodinamica. Vino fine e aereo, molto discreto, più indietro nella maturazione (effetto dei grappoli interi?). accusa una certa rigidità, è stretto e potrebbe sembrare in difetto di charme. A me è parso invece di carattere, nervoso, minerale, certamente freddo, ma di grande piacevolezza. Persistente. (91/100)

Philippe Nadeff, Gevrey-Chambertin Vieilles Vignes. Vigne di novant’anni, come quasi tutti i vini di questo produttore non si deve aprire una bottiglia prima di due o tre anni di vita. Leggermente evoluto al colore, speziato, poi cacao, cassis. Netto e preciso il palato, buona la progressione, senza strappi e continua. Nel finale torna la sensazione tannica, ma sembra poter andare avanti a lungo. Vino serio. (91/100)

Bruno Clair, Gevrey-Chambertin 1er Cru Clos du Fonteny. Delicato e raffinato. Spezie, cuoio di Russia. Finissimo, lungo, elegante con tannini ben integrati. Guadagna in lunghezza quello che perde in densità. Il terroir non è dei migliori, ma il produttore ha una mano fatata. Serve ancora pazienza, attendere almeno sette-otto anni. (89/100)

Olivier Guyot, Gevrey-Chambertin 1er Cru Les Champeaux. Naso di amarena, forse figlio di una macerazione a freddo un po’ tecnica. Un bel frutto, indiscutibilmente un prodotto ben congegnato. Acidità e tannini non sono perfettamente integrati e il finale ha qualche sfumatura vegetale. Nel bicchiere però il vino si trasforma e migliora, forse denuncia ancora una grande gioventù. Mi piacerebbe risentirlo tra qualche anno. (88/100)

Fabrice Vigot, Echézeaux Grand Cru. Dei 38 ettari di questo Grand Cru non tutti sono di nobile origine. Questo vino è normalmente facile e aperto. Il naso è molto bello, minerale e floreale. Molto gradevole. Ecco, questo è un pinot esemplare, esattamente quello che ci si può attendere da un grande pinot. Manca di un po’ di dinamica nel finale, ma è tra quelli che più danno soddisfazione. Una bottiglia che finisce subito, forse non proprio all’altezza del suo costo, però. Consensuale. (90/100)

Domaine Bart, Bonnes Mares Grand Cru. Un Grand Cru magnifico, parte su Chambolle (suolo molto calcareo per vini più eleganti) e parte su Morey (10%). Qui siamo su suolo calcareo e la finezza del naso ce lo conferma. Pura eleganza. Un vino che mostra il lato freddo del pinot. Grande ricchezza aromatica. In questo caso il terroir ha la meglio sul millesimo. Ancora giovane ma irresistibile. Siamo all’essenza del pinot. Grande persistenza, uno dei pochi che non ho potuto sputare. (95/100)

François Feuillet, Clos de la Roche Grand Cru. Altro Grand Cru di dimensioni rispettabili, sito nel villaggio di Morey Saint-Denis. Questo Clos de la Roche è stato vinificato da David Duband, stella montante della Borgogna. Colore molto leggero, naso etero e speziato. Risalta per la sua grande finezza, tutto è suggerito più che urlato. Spezie dolci, fiori, purea di fragole. Mi spingo a definirlo vecchio stile, anche se non ho capito nemmeno io cosa vuol dire. Forse significa che si tiene lontano dalla tecnicità di tanti altri buoni vini, bellissimi ma un po’ freddi e prevedibili. Qui siamo su un altro livello di espressione. Beva fenomenale. Siamo sul podio. (94/100)

Dominique Laurent, Clos de La Roche Grand Cru Cuvée Vieilles Vignes. Le vigne si trovano nel cuore del cru. Un succo che fin dal colore si annuncia più concentrato. Come accade spesso nei vini di questa maison, il legno si percepisce nettamente. Poi andiamo verso il tartufo, la china e l’inchiostro. Inizialmente il liquido scorre molto bene e se ne apprezza la vivacità. La massa tannica è imponente, il finale ha un aspetto “sucré”, vira verso il dolce per l’apporto deciso del legno. Questo conduce verso tannini più duri e toglie finezza all’insieme. Due stili opposti. Non ho dubbi su quale sia il mio preferito. (91/100)

Domaine Huguenot, Charmes Chambertin Grand Cru. Stranezza della burocrazia: questo Grand Cru si sovrappone allo Charmes Mazoyères. Quindi il vino si potrebbe chiamare in entrambi i modi, ma Charmes funziona molto di più dal punto di vista commerciale. Colore scuro e stile che pare più moderno. Vino serio, riesce a sbarazzarsi da una iniziale ed insistente nota di polvere di caffè. Pepe, poi vegetale nobile, sembra molto più giovane della sua età. I tannini hanno la grana più fine di tutta la serata, pur restando molto abbondanti. Al palato aromi di cuoio, sembra stia chiudendosi in sé stesso, potente e un pelo rigido nel finale. Da attendere. (92/100)

Faiveley, Chambertin Clos de Bèze. Colore leggero, nello stile della maison. È il vino più chiuso della serie, va cercato. Terra, sottobosco, poco altro. Al palato si percepisce un vino ancora indietro nella maturazione. C’è la potenza e si percepisce che siamo di fronte a un grand cru. Grande larghezza, meno dinamico nella lunghezza, forse a causa dei tannini ancora molto abbondanti. Una grande classe comunque, senza la spinta del Bonnes Mares. Ancora un vino da attendere, anche se resterà una certa durezza tannica derivata dal millesimo. (93/100)