Coraggio, aboliamo i concorsi enologici

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Nei giorni scorsi, in uno dei più noti concorsi enologici italiani sono stati premiati 299 vini. Si tratta del 35% degli 863 vini presentati al concorso. Tanti.

Non discuto i valutatori. Hanno seguito le regole e questo è il risultato che ne è uscito. Non discuto neppure le regole. Men che meno metto in discussione quest’unico concorso. Semplicemente approfitto di quest’occasione – e poteva essere una qualunque fra le tante che si presentano puntualmente in Italia – per ribadire la mia idea: i concorsi enologici non hanno più senso e vanno aboliti.

Ne scrissi già cinque anni fa: “Le schede di giudizio dei concorsi hanno questo difetto: non tengono in alcun conto del soggettivissimo criterio della piacevolezza, e non possono ‘oggettivamente’ farlo, ovvio, e dunque a mio avviso non servono proprio a niente. Non ti dicono se quel tal vino ha personalità e piacevolezza, bensì se è tecnicamente, enologicamente ben fatto. Ecco, a questo servivano i concorsi quando sono stati inventati: in un mondo nel quale il difetto enologico era purtroppo diffusissimo (era quasi la regola, vorrei dire), servivano a mettere in luce i vini di maggiore correttezza sotto il profilo enologico. Tutto qui. Adesso che il sapere enologico è diffuso e l’attrezzatra di cantina è adeguata un po’ ovunque, di vini tecnicamente scadenti in giro ce ne sono pochi, e allora a cosa serve dare punteggi secondo regole che appartengono ad un mondo che non c’è più?”

Dunque, le alternative possibili sono due: abolire i concorsi o cambiarne radicalmente le regole. Il mondo del vino italiano ne trarrebbe grande beneficio.