Comunicare si deve

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Sissignori: il fattore umano è un elemento fondamentale. Ma qui, aggiungo, entra il gioco la filosofia stessa dell’esser produttore. Soprattutto d’esser piccolo produttore, d’essere uomo o donna del territorio.

Entra in gioco, intendo, quell’interpretazione del terroir che ho altre volte affrontato, e qui pecco io, adesso, d’autoreferenzialità. Ma ribadisco una convinzione, e cioè che il terroir non è, come vorrebbe farci intendere una scuola di pensiero tutt’e solo italiana, la combinazione di suolo, clima e vitigno. Perché c’è un quart’elemento altrettanto e forse ancora di più importante: è l’uomo, con la propria storia, il sapere, l’istinto, il sentimento, la gioia e la tribolazione. Perfino col suo l’orgoglio. Anzi, soprattutto con quello. L’orgoglio di saper mettere dentro una bottiglia la stagione, la terra, la vigna, la storia del luogo, eppoi le cose liete e i pianti e i rimpianti e quant’altro fa delle nostre vite qualcosa d’irripetibile e insomma è unicamente nostro e di nessun altro al mondo. L’orgoglio di comunicare in un bicchiere, di trasmettere in un sorso un po’ di se stessi. E per far questo serve onestà vera. Prima di tutto onestà con sé stessi.

L’ho già detto, ma insisto: il fondamento è l’umanesimo, mica il tecnicismo. E dunque basta farmi vedere diraspatrici e concentratori e robe d’acciaio e plastica e gomma e vetro. Capisco che è roba utile a far vini puliti, corretti. Ma mi si parli piuttosto del sentir la terra e la vigna, delle storie dei padri, dei progetti dei figli, dei sogni che vengono cullati. Ché dei metalli non m’interesso: quelli, non hanno cuore e sentimento.

Comunicare si deve.

articolo pubblicato originariamente l’11 marzo 2006