Commissioni doc, il parere è oggettivo o soggettivo?

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Qualche giorno fa ho scritto a proposito delle commissioni di degustazione che devono decidere sull’attribuzione o meno di una denominazione di origine a un vino. Affermavo che, oggi che sta crescendo l’attenzione per una “enologia” meno “classica” – e anche meno dogmatica – le commissioni mi sembrano inadeguate, e dunque vanno cambiate più o meno radicalmente, oppure abolite. Del resto, i vini, quando vengono presentati per la certificazione, devono sottostare a una serie di parametri chimico-fisici e trovo assurdo che una parte di quei parametri venga poi nuovamente valutata sotto il profilo organolettico, che è soggettivo, e non dunque oggettivo come lo sono le analisi di laboratorio.

Prendo un esempio tra tutti, che è il più radicale e provocatorio. Tra gli oppositori alla mia tesi c’è chi mi ha fatto presente che troppi vini “naturali” presentano un’elevata percezione acetica quando vengono assaggiati. Ecco, questo è un caso emblematico di quanto affermo nelle mie considerazioni: se il rispetto dei parametri di legge relativi all’acidità volatile è uno dei requisiti che vengono valutati nell’analisi chimica del vino, perché mai un vino che è oggettivamente dentro ai parametri dovrebbe essere “bocciato” per il fatto che dei degustatori soggettivamente vi rinvengono un carattere acetico? Delle due l’una: o il vino non è a posto con i parametri di norma e dunque non andava nemmeno sottoposto alla commissione in quanto palesemente fuori regola, oppure il parametro è a norma e dunque non ha alcun senso che lo si bocci da parte dei commissari per una pretesa percezione soggettiva di un difetto che in termini di legge non è un difetto.

Sia chiaro, non voglio difendere i vini difettosi. Un vino difettoso è difettoso, punto e basta. Ma la soggettività di un gruppo di degustatori non può prevalere sull’oggettività dell’analisi chimica e fisica di un vino. Altrimenti siamo nel campo della totale arbitrarietà. Che non può essere ammissibile, visto che dietro a quel vino c’è tanto lavoro.


2 comments

  1. MAURIZIO GILY

    Spiacente Angelo ma l’esempio che hai citato non è corretto, perché si tratta di un parametro che non fa parte dei disciplinari. Per cui un vino dal p.d.v. analitico viene scartato solo se non risponde ai requisiti di legge per essere VINO, non per avere la DOC. Che sono, per un vino rosso, 1,2 g/l di acido acetico, cioè un vino sostanzialmente imbevibile. Per cui inevitabilmente il giudizio su tenori più bassi ma comunque critici viene demandato alle commissioni di degustazione. Una soluzione sarebbe quella di fissare dei limiti specifici a livello nazionale per i vini a DOC e IGT, con le dovute eccezioni (passiti, botritizzati etc.) ma per ora non è così. Anzi i disciplinari fissano limiti sull’acidità totale che sono invece piuttosto inutili e spesso troppo alti, per la viticoltura e per il clima attuali.

  2. Angelo Peretti

    Angelo Peretti

    Dunque, Maurizio, indirettamente mi dai ragione: se i parametri sono rispettati, il giudizio delle commissioni diventa totalmente soggettivo, finendo per bocciare soggettivamente vini che rispettano i parametri previsti. Sono parametri troppo ampi o troppo labili? Si cambino o si scrivano meglio, ma in carenza di tali migliori parametri oggettivi trovo arbitrario che siano pochi soggetti, pur esperti, a stabilire (ripeto, soggettivamente) l’attribuibilità o meno della denominazione a vini oggettivamente nella norma, pur sbagliata che appaia detta norma.

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