C’è buon vino a Montecarlo (quello in Toscana)

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Senza voler offendere i vignaioli del luogo, credo di poter tranquillamente affermare che la doc Montecarlo non è tra quelle più famose, e credo non siano neppure proprio così in tanti a sapere che il Montecarlo che dà nome a questi vini è un comune di 4500 abitanti suppergiù e che sta in provincia di Lucca.
In effetti, la produzione è piccina. I dati ufficiali della Regione Toscana sulla vendemmia del 2014 (i più recenti che ho trovato) parlano di 69 ettari (suddivisi fra i territori comunali di Montecarlo, Altopascio, Capannori e Porcari) e di poco più di 4000 ettolitri, l’anno prima gli ettari “rivendicati” erano 82 e la produzione grosso modo uguale, il che vuol dire all’incirca poco più di mezzo milioni di bottiglie. Un’inezia. Che però vien fuori da un disciplinare che – ah, i misteri del vino italiano! – prevede una miriade di tipologie: il bianco (che è la versione “storica”, quella che diede vita alla doc nel 1969), il rosso, il rosso riserva, il Vermentino, il Sauvignon, il Cabernet Sauvignon, il Merlot, il Syrah, il Vin Santo e perfino il Vin Santo occhio di pernice (non ne ho dimenticata nessuna, vero?).
Le uve? Oh, di uve se ne possono adoperare un bel po’, e non le elenco neppure, sennò vado lungo.
Sta di fatto che erano un bel po’ d’anni che non mi capitava di assaggiare dei vini della doc del Montecarlo, epperò ne serbavo un buon ricordo, soprattutto per il bianco, che ricordavo d’impronta – come dire – francese, e in effetti fu in Francia che il montecarlese Giulio Magnani andò a studiare come facessero il vino, riportandone in Toscana tecniche e vitigni. Si era intorno al 1870.
Ora ho avuto modo d’avere finalmente di nuovo nel bicchiere un Montecarlo bianco e un rosso, quelli della Tenuta del Buonamico, che è tra le punte d’eccellenza della zona, e i miei (ahimè un po’ lontani) ricordi hanno avuto conferma, ed anzi ho trovato soprattutto un bianco di gran bella definizione, che ha lasciato da parte ogni tentazione modaiola acquistando in purezza della sua cifra stilistica. Insomma, c’è stata crescita, ed è una crescita di quelle che lasciano il segno. Ora mi viene un po’ il rimpianto, quello di non aver stappato qualche bottiglia negli ultimi anni, ché sarebbe stato di certo avvincente seguire questo percorso. Spero di riuscire ad essere più costante in futuro, credo che se ne possa trarre ottima soddisfazione.
Eccoli qui, dunque, i due vini che ho assaggiato.
Montecarlo Bianco Etichetta Bianca 2016 Tenuta del Buonamico
Sorprendente. Uso quest’aggettivo perché m’ha proprio colto di sorpresa con la convincente croccantezza di frutto e l’aromaticità sottile ed equilibrata e poi la freschezza e il sale che invitano al sorso. Bianco d’aperitivo appagante, per continuare a servirsene in tavola. Le uve sono il trebbiano, il pinot bianco, il sauvignon blanc, la malvasia e il semillon, ma nessuna prevale, nessuna eccede. Bella cuvée, ed è “solo” del 2016. Mi piacerebbe riprovarla fra qualche mese, ché ora è ovviamente giovanissima.
(89/100)
Montecarlo Rosso Etichetta Blu 2014 Tenuta del Buonamico
Il rosso è fatto con uve di sangiovese, canaiolo, syrah, merlot e cabernet sauvignon e anche in questo caso direi però che non c’è felicemente traccia influente delle varietalità, ma è l’assieme che emerge. A farsi avanti è soprattutto la freschezza, che rende agevole la beva e racconta d’un vino giovinetto (coi fruttini neri succosi) e che credo sia connaturata all’annata, difficile un po’ ovunque, e ritengo pertanto tale anche in zona.
(85/100)

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