Il Casteller (doc), un vino rosso che… sa di vino, rosso

casteller_400

Diavolo d’un Cosimo Piovasco di Rondò. No, non mi riferisco al protagonista del Barone Rampante di Italo Calvino, che comunque resta una gran bella ri-lettura per l’estate. Dico il Cosimo che fa da nom de plume all’animatore del Trentino Wine Blog. Ebbene, indirettamente me n’ha combinata una di belle.

Gli è che ha (ri)pubblicato un pezzo che aveva scritto a proposito del Casteller, rosso trentino con una sua propria denominazione di origine controllata, sogno territorialista fiorito negli anni Settanta e a dire il vero oggi davvero un po’ derelitto, visto che arriva sì e no a 300 mila bottiglie, ucciso dall’avanzata del Pinot Grigio. Così mi ha fatto venire il tarlo e sono andato in cerca del Casteller, vino “proletario”, “quello che alla mescita costa meno di tutti o quasi: fra i 70 e gli 80 centesimi di euro a bicchiere”, come spiega Cosimo, e viene venduto nella grande distribuzione locale e nei bar di provincia, dov’è offerto come vino “normale” destinato a un pubblico un po’ su con l’età.

In verità, il vino l’ho fatto cercare a mio figlio, che studia a Trento, e l’ha trovato in un Eurospar, scaffale basso, il più basso di tutti, al fantasmagorico prezzo di euro 2,69 alla bottiglia, e la bottiglia – si badi – è da litro, mica da 0,75 come per gli altri doc. In più ci devi aggiungere altri 13 centesimi di cauzione, perché la bottiglia – c’è scritto anche in etichetta – è “vetro a rendere”. Produttore: in etichetta è scritto Cantina Viticoltori (in acronimo fa Cavit, dice niente?) a Trento. Gradazione alcolica 11,5 per cento.

Così l’ho stappato. Con qualche fatica, ma l’ho stappato, e la fatica sta nel fatto che il tappino a vite (di quelli da liquore o da olio, per capirci) non voleva saperne di fare crar di di svitarsi e ho dovuto aiutarmi con uno schiaccianoci, accidenti.

Com’è? È buono, nel suo genere è buono. Se te lo facessero assaggiare in un bicchiere nero, dove non vedi il colore, diresti senza esistazioni che “è un vino, rosso”. Sì, è l’archetipo del vino rosso di una volta, vinoso e fruttato e col finale leggermente amaro che sta bene col cibo ruspante, con una salamella alla griglia, con una trippa, con il pollo ai ferri. Un rosso da gioco delle carte, da partita a bocce. Certo, non brilla in persistenza, ma chiama al nuovo sorso, e dunque è liquida ma rasserenante semplicità.

“Poteva avere altri destini – scrive Cosimo su Trentino Wine Blog – questa denominazione territorialista, se il suo disciplinare fosse stato più rigoroso, meno pasticciato, meno generico nella definizione delle zone e dei terreni di produzione. Poteva diventare una strada maestra per alcune uve autoctone, se il vigneto trentino non avesse subito la trasformazione mercantilistica che ha subito. Non è andata. Sono rimaste queste 300 mila bottiglie di vino semplice, poco alcolico, per niente strutturato, leggerino, vinoso anche troppo, che, però, a tavola o al bar, durante una partita di briscola, si può bere ancora. Che io ogni tanto bevo. Ancora”.

Prosit.

 

 

In questo articolo

3 comments

  1. Ciro Nermetti

    Buono

  2. Turo

    Lo abbiamo acquistato a Mori, lo definiamo un prodotto degno di un gusto autoctono degno delle persone che credono nei valori del proprio territorio.
    Un calabrese

  3. Gianni

    È un vino da pasto che bevevamo a Fiè allo Sciliar negli anni ’70 e beviamo ancor oggi in Val di Fassa 50anni dopo.. La bottiglia sul tavolo oggi ha grado alc.12% vol.
    La qualità è validissima come pure il prezzo.

Non è possibile commentare