Cantina di Soave, 13 mila euro a ettaro, gestire le doc

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In tutto fa 141 milioni di fatturato, per la metà derivati dall’imbottigliato, e più della metà di questa metà – mi si scusi il gioco di parole – è costituito da prodotti a marchio proprio. E poi, 62 milioni di patrimonio netto, 9,5 milioni di cash flow, 3,3 milioni di utile. Soprattutto, 70 milioni di euro pagati ai soci per i conferimenti delle uve, il che vuol dire, mediamente, 13 mila euro a ettaro. Per 2.200 soci. Sono i numeri del bilancio della Cantina di Soave. Un bilancio che va dal primo luglio del 2017 al 30 giugno del 2018 e dunque ancora non incorpora del tutto gli incrementi di prezzo dei vini della vendemmia 2017, una delle più scarse che si ricordi. “Lo definirei un bilancio solido” ha sintetizzato il neo-presidente Roberto Soriolo. Osservo che lo può anche dire senza usare il condizionale. “Abbiamo la conferma di un metodo che funziona, quello di allungare l’orizzonte delle iniziative”, ha aggiunto, e anche qui i numeri dicono che la ragione è dalla parte della cantina soavese, in continua espansione, tant’è che sta realizzando un nuovo impianto di imbottigliamento, che sarà capace di lavorare fino a 80 milioni di bottiglie. Nell’ultimo anno la Cantina di Soave ne ha prodotte 33 milioni.

Scontato dire che la Cantina di Soave sia un considerevole osservatorio per l’andamento del vino veronese. Dei tre comparti vinicoli della provincia – l’Est Veronese, la Valpolicella e il Garda – questa cooperativa molto sui generis (e già dai numeri si capisce che è sui generis, e la singolarità sta nell’approccio formente imprenditoriale) ne domina due. Ha infatti il 49% dei vigneti della Valpolicella (avete letto bene, quasi la metà) e il 48% dei vigneti del Soave (avete letto bene, quasi la metà). Sembrerà poca cosa nei confronti delle altre due denominazioni, ma ha anche il 70% del Lessini Durello (avete letto bene, più di due terzi). Così il direttore generale Bruno Trentini insiste nel dire che la Cantina lavora “in un’ottica di valorizzazione delle denominazioni territoriali, al fine di garantire il massimo reddito alla base sociale”. Ma pone l’accento anche sul tema della gestione delle denominazioni di origine, che per Trentini “significa stabilire le quantità di prodotto da immettere sul mercato senza creare esuberi” e anche però “definire il posizionamento più corretto” di ciascuna denominazione.

Così, se per il Soave secondo Trentini vale la regola della tenuta e della costanza, perché “è un maratoneta, non avrà mai lo sprint del centomestrista”, per quanto riguarda la Valpolicella, questa, invece, “se continuiamo a portare avanti ciascuno il proprio orticello, così come è arrivato il successo improvvisamente, altrettanto velocemente, o forse di più, avrà delle problematiche”. La “vera scommessa sul futuro”, a sentire il direttore della Cantina d Soave, sta in una cabina di regia che coordini il sistema Verona, perché “per riuscire a consolidare i valori e a evitare tracolli bisogna che riusciamo a fare la gestione delle denominazioni”. Il tasto su cui batte è sempre quello.