In breve ricordo del cuoco umanista, Vittorio Fusari

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“Non vi ho lasciati, avete in eredità le mie ricette che raccontano le mie idee. Copiatele e fatele vivere costruendo attraverso il cibo un mondo migliore. 11/02/1953 1/1/2020”. Sta scritto così sulla pagina Facebook di Vittorio Fusari. Anzi, di Vittorio Fusari Cuoco. Parole meravigliose e vere e dense di significato in ricordo di un cuoco – sì, cuoco, insisteva e insisto – cui credo dobbiamo molto in tanti. Anche solo idealmente, anche solo per quel che ci ha donato incontrandolo per un attimo al tavolo di uno dei suoi ristoranti.

Ho sempre creduto che Vittorio, uomo di lago come sono io, rappresentasse uno degli ultimi baluardi dell’idea del cuoco umanista. Ricordo una sera alla Dispensa Pani & Vini, in Franciacorta, quando, con una naturalità disarmante, disse che prima di tutto era necessario avere gratitudine per gli essere viventi che avevano dato la loro vita per i piatti che ci stava servendo. Ricordo il suo ascoltare curioso, convinto che da chiunque si potesse apprendere un nuovo tassello di conoscenza. Lui, antidivo quando avrebbe potuto atteggiarsi a divo, se solo avesse voluto. Non voleva. Preferiva essere persona. Abbiamo bisogno di persone, non di divi, infatti. Abbiamo bisogno di persone, non di individui, nelle cucine, nelle sale, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle botteghe, nei campi, nelle cantine, nelle istituzioni. Abbiamo bisogno di persone tra le persone. Vittorio Fusari ci ha ricordato, concretamente, che è possibile.


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  1. Angelo Viola

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