Bolgheri, o della colonizzazione viticola

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Sapete quelle cose che sono lì talmente evidenti davanti a voi che neppure le notate? Ecco, io a quello che sto per dirvi non ci avevo mai fatto caso prima di imbattermi nella (piccola) carta dei vini di un (buon) ristorante nei dintorni di Castagneto Carducci. Eppure era così palese.

Essendo a cena nella zona del Bolgheri, in Maremma, volevo bere una bottiglia della denominazione. Ho guardato e in lista c’erano i vini di quattro aziende. Tutt’e quattro buone, ma anche tutt’e quattro di proprietari venuti da fuori. Poggio al Tesoro, che è della famiglia Allegrini, nome celebre dell’Amarone, poi Caccia al Piano, che fa parte del gruppo Berlucchi, azienda della Franciacorta, quindi Cà Marcanda che appartiene al piemontese Angelo Gaja, e infine Guado al Tasso, che è dentro alla galassia del gruppo Marchesi Antinori, che son toscani, quanto meno.

Insomma, sì, l’idea che me ne sono fatto è quello della colonizzazione. Era una cosa scontata, a ben pensarci, ma non me ne ero mai reso conto così tangibilmente. Colonizzazione viticola.

Sull’onda dei trionfi del Sassicaia e dell’Ornellaia, Bolgheri, patria dei rossi bordolesi made in Italy, ha visto continui, anche imponenti investimenti da parte di brand – come dire – alloctoni. Del resto, è un po’ quel che succede con la terra natia dei rossi bordolesi, perché anche a Bordeaux le cantine sono spesso di gente venuta da fuori, anche dall’estero, mica solo da dentro i confini francesi.


2 comments

  1. Angelo D.

    Vabbè sono lì da oltre vent’anni qualcuno dippiú. Che poi Bolgheri non è mai stata dei bolgheresi semmai fosse esistita una Bolgheri del vino senza quelli di fuori…

  2. claudio

    Credo che i grandi gruppi del vino (grandi per qualità) possano accelerare la crescita delle zone viticole, portando nuove professionalità in giro per le vigne e per le cantine.
    Penso alla DOC Colli Tortonesi, dove questa “colonizzazione” è appena iniziata.
    Se io fossi un piccolo produttore della zona troverei molto stimolante scambiare ogni tanto un paio di opinioni con un enologo o agronomo di Borgogno (per dirne una…).
    Con l’auspicio che l’arrivo di nuovi capitali non faccia sparire poco per volta tutti gli autoctoni.

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