Ben fatto! Le scelte del Lessini Durello

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Dalle mie parti, in terra veronese, ha destato qualche perplessità la scelta del Consorzio di tutela del Lessini Durello di dividere gli spumanti berico-scaligeri prodotti con l’uva durella in due diverse denominazioni a seconda del metodo di produzione utilizzato: in futuro saranno Lessini Durello se saranno fatti in autoclave col metodo Martinotti e invece si chiameranno Monti Lessini se saranno rifermentati in bottiglia col metodo classico.

In particolare, ad esprimere dubbi sono stati i miei conterranei Maria Grazia Melegari, che sul suo Soavemente Wine Blog ha affermato che “il nome Durello meritava di apparire nel prodotto più di alta gamma e quindi: Lessini Durello Metodo Classico (durella in purezza) e Monti Lessini Metodo Italiano (per lo charmat con durella ed altre varietà)” e Giampiero Nadali, che sul suo wine blog Aristide ha scritto così: “Il sottoscritto ritiene da tempo che la scelta davvero coraggiosa sarebbe stata quella di denominare “Lessini Durello” (il marchio più forte) il metodo classico, e trovare un’altra soluzione per il metodo Martinotti”. Anche un’altra wine writer veronese, Elisabetta Tosi, intervenendo su Facebook ha detto: “Io avrei invertito i nomi”.

Io condivido invece in toto la scelta consortile, ratificata dall’assemblea dei soci. La condivido non solo perché fa chiarezza – e su questo concordano anche gli altri autori che ho citato -, ma soprattutto perché ritengo che sia il metodo Charmat (o Martinotti, fate voi, l’importante è capirsi) quello che meglio caratterizza la spumantistica veneta (dice niente che il Prosecco, anche nelle sue docg, sia essenzialmente fatto con questo metodo?) e che quindi ha maggiori possibilità di sviluppo, ed è dunque a tale metodo che a mio avviso è bene sia stata connessa la tipologia che rappresenta la larga maggioranza della denominazione e che ha oggettivamente le maggiori prospettive di crescita (per inciso, il Lessini Durello è arrivato intorno al milione di bottiglie e la Cantina di Soave “pesa” il 70% dell’intera produzione).

Mi piace molto, invece, che il metodo classico, che rappresenta una piccola quota della produzione totale delle bollicine fatte con la durella e che può coltivare anche qualche maggiore ambizione qualitativa, venga proposto sotto una denominazione che evoca direttamente la montagna, qual è appunto la doc Monti Lessini, con quel “Monti” che spazza via ogni dubbio interpretativo (la Lessinia è indubbiamente bellissima, ma non credo che il suo nome abbia una risonanza planetaria, e neppure nazionale). Ricordate quello slogan delle “bollicine di montagna” che viene di tanto in tanto riproposto dalla confinante doc spumantistica trentina? Ebbene, oggi le “bollicine di montagna” fatte col metodo classico hanno un altro protagonista che la sua origine “montanara” la esprime chiaramente già dal nome.

Dunque, ben fatto, secondo me. Una scelta che a mio avviso premierà sia chi lavora con l’autoclave, sia chi fa metodo classico.