Per battere il caldo si torna ai vitigni storici

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Avete presente quell’adagio che sostiene che non tutto il male vien per nuovere? Ecco, a volte è vero, anche per il vino.

Prendiamo il cambio climatico, il riscaldamento globale, quella cosa lì che non ho ancora capito e che probabilmente non capirò mai, ma che comunque ci dicono gli scienziati che sta accadendo. Insomma, ci stiamo surriscaldando. Un male? Be’, se è vera ‘sta cosa che finiremo tutti lessi, è un male. Ed è anche vero che in vigna i sintomi ci sono, come per esempio le vendemmie tanto precoci e l’avanzamento della viticoltura verso nord. Ma intanto in Francia…

Intanto nel sud ovest della Francia, nella Languedoc e nel Roussillon, il gran caldo fa tornare di scena (alla grande) i vitigni storici. Quelli che erano stati messi in disparte, affrettatamente, per seguire le mode internazionali. Invece oggi ci si (ri)accorge che sono proprio le vigne tradizionali quelle che rispondono meglio alla calura. Ma guarda un po’.

Dunque, ecco di nuovo protagonisti il carignan o il cinsault, per esempio.

Ne scrive Pierre Citerne sulla Revue du Vin de France. E si domanda come si possano definire queste vigne. “Vitigni dimenticati o modesti, identitari, autoctoni, indigeni… vecchi vitigni, vitigni rari? Non rientrano tutti fra queste casistiche. Il carignan, per esempio, è spagnolo. Quel che questi vitigni hanno in comune è d’aver fatto la storia del vigneto della Languedoc e del vigneto catalano almeno dal XIX secolo”.

Poi venne il verbo dei vitigni “migliorativi”, venne “la nozione stessa del cépage améliorateur, necessariamente esogena, imposta tra gli anni ’70 e ’80”, per aumentare la profondità e la complessità dei vini. Ora la retromarcia. Perché – dico io – non tutto il male vien per nuocere.

Che sia la volta buona che cominciamo a estirpare anche da noi un po’ di vigne che non c’entrano niente col territorio? Alla fine, i nostri vecchi erano meno ignoranti di quel che hanno voluto farci credere i super tecnici moderni.