Basta col mito delle basse rese (viva il vino da bere)

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Sì, capisco, è in atto un cambiamento climatico a volte violento e fa molto più caldo e l’uva matura di più e ci sono più zuccheri e dunque i vini sviluppano molto più alto, ma domando: è ancora vino, questo, se quasi sempre e costantemente è oltre i 14 gradi e anche ben oltre? Io credo che il vino sia fatto per la tavola e per il cibo. In questo ha la propria più intima ragione di esistere, ma tutto quest’alcol sulla tavola non ci può stare.

Ritengo che sia necessario un ripensamento generale di molta parte del nostro vivere e del nostro produrre e che tra i ripensamenti da fare ci sia anche quello sulla viticoltura e del senso del fare vino. Da ormai quarant’anni si è affermato il mito degli impianti fitti e delle rese basse e addirittura bassissime, e solo a questo concetto si è surrettiziamente attribuito lo status della qualità, compiendo un’operazione di standardizzazione mai vista prima in viticoltura. Si tratta dunque di un arbitrio, che svilisce il senso gastronomico del vino in favore di una sua visione più edonistica e degustativa, e no, per me non è più vino, questo, almeno non lo è nel suo senso più vero e profondo.

Vi prego, sospendiamo questa maniera di pensare agli estremi. Mi rendo di giorno in giorno più convinto che costringere la vigna a fare sempre meno uva significhi svilirla alla stregua di una qualunque parte di una macchina produttiva, e non me ne importa nulla, a quel punto, della dimensione dell’azienda, perché l’industrializzazione è una visione economica e talora un’ideologia, e quest’ideologia si insinua nelle menti di molti, anche di chi produce meno. Certo, neppure il troppo è adeguato, e dunque occorre un equilibrio, ma l’equilibrio non è trovare l’artificio agronomico o enologico per compensare l’alcol che continua a impennarsi perché la vigna è stata radicalmente impostata per ottenere la concentrazione del frutto. Si tratta di un circolo vizioso che rischia di portare all’implosione del settore.

Urge un ripensamento, in primis da parte di chi dispensa i giudizi sul vino, perché anche di questi – e forse soprattutto di questo consenso – si nutre l’ideologia del vino che al vino nega la propria originale essenza gastronomica.