Basta coi cinghiali che distruggono le vigne toscane

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“È un fatto criminale che i politici se ne freghino altamente di noi che lavoriamo nelle nostre vigne e che le vediamo devastate in questo modo”. Lo aveva affermato senza peli sulla lingua, al suo solito, Elisabetta Fagiuoli, la signora di Montenidoli, all’ultima edizione del Mercato dei Vini della Fivi, a Piacenza. Si riferiva ai cinghiali e ai caprioli – alla famiglia degli ungulati, insomma – che entrano nelle vigne e mangiano uva e brucano barbatelle e germogli.

Ora leggo sull’edizione fiorentina della Repubblica che sulla medesima questione è scesa in campo l’Avito, che è l’associazione dei vini toscani a denominazione di origine, che mette insieme sedici consorzi di tutela, e sono consorzi “pesanti”, tipo quelli del Brunello di Montalcino, del Nobile di Montepulciano, del Chianti Classico e del Chianti. “Le nostre vigne, il nostro lavoro, la nostra eccellenza toscana è data in pasto ai cinghiali e ai caprioli: non abbiamo intenzione di rimanere a guardare” ha spiegato il “superconsorzio” dei vigneron della Toscana. “Gli strumenti messi in campo con la legge speciale – hanno rincarato la dose – si sono rivelati inadatti e inefficaci per ricondurre, con gli abbattimenti programmati, l’attuale sovrannumero di cinghiali e caprioli in particolare nel nostro territorio”. La legge speciale, spiega La Repubblica, è quella in vigore dal 2016, che “prevede l’abbattimento controllato degli animali, qualora costituiscano un problema produttivo o ambientale”.

Insomma, il problema si è fatto davvero insostenibile e ormai la lamentela è diffusa. La politica ce la farà a prendere una decisione forte e risolutiva un volta per tutte, oppure si cercheranno altri palliativi? Lo spero. “Abbiamo difficoltà a trovare aiuto dai politici, dagli amministratori, dalle stesse persone che vivono sul nostro territorio” diceva a Piacenza una sconfortata Angela Fronti, vignaiola di Istine, a Radda in Chianti. Lei e i suoi colleghi vestivano delle magliette su cui c’era scritto “Meglio in tegame che in vigna” e la figura disegnata accanto al motto era quella di un cinghiale. Più chiari di così non si può.


1 comment

  1. rita Morini

    Siamo alle solite, senza voler togliere nulla alla giusta indignazione degli interessati, prima si introducono animali per il comodo di cacciatori e non solo, senza preoccuparsi dell’equilibrio ambientale, poi si cerca di correre ai ripari con iniziative più o meno valide. In tutto ciò gli amministratori, politici o comunque responsabili stanno a guardare arrampicandosi sugli specchi!!

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