Abbasso i punteggi, torniamo ai terroir?

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Non mi ero neppure posto il problema, perché pensavo fosse solo una questione di semplicità descrittiva. Sbagliavo. Quel che non mi ero mai domandato era il motivo per cui a un certo punto si è affermata una classificazione centesimale dei vini, di fatto imposta dalla critica americana.

Una risposta, per certi versi sconvolgente, l’ho trovata in quel che scrive Jacky Rigaux nel suo saggio “La degustazione geosensoriale”, che sta dentro a “Il vino capovolto“, edito da Porthos. La risposta è che “i fabbricanti di vino seriale” hanno l’obiettivo di “superare la gerarchia dei terroir, considerata un’autentica anomalia culturale”. Cavolo, non ci avevo riflettuto, ma sì, all’industria del vino il concetto stesso di terroir dà fastidio, e dunque occorre superarlo. Sostituendo le regole della classificazione qualitativa dei vini e dei suoli. Largo ai centesimi e ai requisiti analitici, abbasso i cru e i contenuti culturali.

Secondo Rigaux, la classificazione centesimale “ha il merito della semplicità, cara alla cultura anglosassone”, così come un’altra semplificazione che fa comodo al business è quella che vede i basic wine sottoposti ai popular wine, che a loro volta stanno sotto ai premium, ai super premium e agli ultra premium. Di fatto, “è stato facile rimpiazzare la sofisticata graduatoria dei vini di terroir, quella della Borgogna con le sue denominazioni Régionale, Village, Premier Cru e Grand Cru, e forse anche sostituire altri disciplinari della Vecchia Europa”.

Non sono un complottista, ma questa cosa è inquietante.

Ora, lo so che posso sembrare in contraddizione, perché anch’io uso attribuire ai vini di cui scrivo un punteggio in centesimi. Che tuttavia non tiene conto dei classici requisiti analitici (colore, profumo, struttura), ma indica una mia soggettiva scala di piacevolezza. Ho cercato di semplificare. Prima usavo i faccini, che si sono però inflazionati. Forse ci dovrò ripensare.

 


1 comment

  1. Umberto Cosmo

    Appunto!

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